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viernes, 24 de abril de 2020
Para Italia, los "médicos cubanos" son "costosos y no están preparados"
- 27-03-2020
L’arrivo dei camici bianchi da Cuba e Cina è stato fatto passare come la panacea di tutti mali. Ma è falso: rientra nel piano di ideologizzazione portato avanti dalle due dittature e costato all’Italia anche parecchi soldi. Invece resta inspiegabile perché siano stati rifiutati i 200 medici venezuelani, esuli, preparati e perfettamente integrati.
In questi giorni abbiamo visto su quasi tutti i media italiani la grande campagna propagandistica di ringraziamento a Cuba, per l’arrivo domenica scorsa di un contingente di medici e infermieri a Milano Malpensa. Si tratta della Brigada Henry Reeve e sono stati venduti all’opinione pubblica come la panacea che salverà l’Italia dal male. Perfino le testate liberali e di destra hanno sottolineato l’entusiasmo e la gratitudine per l’atterraggio della squadra cubana: 23 medici di medicina generale, 3 pneumologi, 3 medici di terapia intensiva, 3 infettivologi, 3 medici esperti in urgenze e 15 infermieri, tutti attivi presso il complesso realizzato a Crema per gestire l’emergenza Coronavirus.
Ma non è tutto oro ciò che luccica, si dice nel mio Paese di origine, il Venezuela. I medici cubani non sono esperti nel combatte contro il coronavirus, né fanno un atto di solidarietà. E tantomeno l’Italia aveva bisogno di spendere migliaia di euro per portare da L’Avana 52 persone, quando in territorio italiano ci sono centinaia di specialisti pronti ad agire per salvare vite. E tutto questo posso affermarlo con molta autorevolezza perché in qualche modo sono stata coinvolta in questa triste vicenda. Chiarisco punto per punto.
Inizio dalla fine. La Regione Lombardia non aveva bisogno di portare in Italia i medici cubani. Come presidente dell’Associazione “Venezuela: la piccola Venezia” Onlus ho messo a disposizione della Lombardia un contingente di oltre 200 professionisti della salute italo-venezuelani che si trovano in territorio italiano: per la precisione abbiamo consegnato ben due volte (il 14 e il 18 marzo, secondo le mail che ho personalmente inviato) un database di medici (168 professionisti, tra cui anche esperti di terapia intensiva, anestesisti e infettivologi), infermieri (38) e biologi (18), “disponibili quasi immediatamente a lavorare nell'emergenza”, come ho scritto nella comunicazione inviata e ricevuta dal direttore generale al Welfare Luigi Cajazzo.
Inizialmente la nostra proposta era stata accolta positivamente, come lo stesso Assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, ha confermato: “I medici del Venezuela che affiancheranno i nostri professionisti negli ospedali durante l’emergenza coronavirus non sono legati all’attuale regime, con il quale non è in corso alcuna trattativa. Si tratta, invece, di operatori sanitari, esuli e autonomi, che fanno capo all’associazione ‘Venezuela, la piccola Venezia onlus’ da tempo attiva nel nostro Paese, che per motivi burocratici, in questo momento, non possono esercitare la professione e che si mettono a disposizione del sistema lombardo per rafforzare gli organici delle nostre strutture”, si legge nel comunicato pubblicato il 14 marzo sul sito Lombardia Notizie Online (comunicato qui).
E il governo nazionale non può dire che non sapeva dell’esistenza dei medici italo-venezuelani. Da almeno tre anni la nostra associazione (insieme al presidente del Comites Barcelona Alessandro Zehentner e un compatto gruppo di associazioni venezuelane in Italia) si batte per il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti in Venezuela, in particolare dei medici, vista la grande quantità di professionisti, anche con due o tre specializzazioni e decenni di esperienza, che non riescono a lavorare in Italia perché si trovano intrappolati nella burocrazia governativa. Per cui, a nostra richiesta, il 29 gennaio (quindi quando ancora non c’era l’emergenza coronavirus) il senatore Giovanbattista Fazzolari (Fratelli d’Italia) ha depositato un’interrogazione ai Ministri degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Salute, dell'Interno e dell'Istruzione, chiedendo che sia valutata la possibilità di “procedere senza indugio ad adottare provvedimenti normativi volti ad abilitare gli italo-venezuelani in Italia all'esercizio delle professioni medico-sanitarie” (interrogazione pubblicata sul sito ufficiale del Senato, leggere qui).
Ecco perché lo stesso Fazzolari ha proposto l'abilitazione professionale e il reclutamento dei professionisti della salute italo-venezuelani presenti nel territorio per affrontare l’emergenza. Richiesta che si è trasformata nell’articolo 13 nel decreto “Cura Italia” (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 marzo 2020), che oggi consente l'esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti con titoli di studio conseguiti all’estero. “In ragione delle difficoltà della comunità italo-venezuelana nel riconoscimento dei titoli di studio in Italia per effetto della perdurante crisi politica venezuelana e dell'elevato numero di cittadini italo-venezuelani o venezuelani presenti sul territorio nazionale, la Commissione di cui al comma precedente valuta la conformità dei relativi titoli di studio e delle professionalità, procedendo all'abilitazione professionale e al reclutamento in relazione alla durata dell'emergenza epidemiologica e del fabbisogno di personale del Servizio Sanitario Nazionale”, si legge nel documento in mio possesso, presentato da Fazzolari al Ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri.
Invece sono prevalsi gli interessi politici e ideologici, prima del vero bisogno dei Lombardi. Quell’articolo che doveva essere la porta per inserire un battaglione di 168 medici più italo-venezuelani già residenti regolari in Italia (in tanti anche di cittadinanza italiana) per aiutare fianco a fianco i medici italiani nell’emergenza, si è trasformato in un boomerang contro il popolo italiano, aprendo la strada ai medici cubani, cinesi e russi che oggi hanno invaso il territorio lombardo. E perché questo boomerang colpisce il popolo italiano? Perché non è un caso che il Governo di Giuseppe Conte abbia fatto entrare senza battere ciglio tre Paesi non democratici sotto la scusa della solidarietà. Così come non è un caso la campagna propagandistica che abbiamo visto in quasi tutti i media italiani. Una volta chiarito che non servivano i medici venuti dall’estero perché le risorse erano in casa, risulta evidente che l’amore surreale del Movimento 5 Stelle per i paesi comunisti sta portando all’Italia su binari molto pericolosi.
Ora è doveroso anche chiarire che i Paesi comunisti non fanno solidarietà. In particolare, la missione medica di Cuba, oltre che missione umanitaria, è un efficiente meccanismo che non solo porta soldi alla dittatura (perché il regime si fa pagare tra i 4.000 e 6.000 dollari mensili per ogni medico), ma serve anche per inoculare il virus comunista in quegli strati più poveri e vulnerabili delle società nelle quali si infiltra per esportare il suo sistema repressivo e persino l’indottrinamento. Noi venezuelani conosciamo bene come funziona: ai tempi di Hugo Chavez siamo stati invasi da più di 40 mila persone (non tutti medici), che “avevano una funzione politica, individuare chi era oppositore del governo, indottrinare i pazienti e agire come agenti dell'intelligence per preservare il regime chavista in Venezuela” ha spiegato l’Ambasciatore del governo ad interim del Venezuela presso l’Organizzazione di Stati Americani (OSA), Gustavo Tarre Briceño. Per approfondimenti vi invitiamo a leggere l’articolo “Così i medici cubani stalinizzano il Latinoamerica”, pubblicato dalla Nuova BQ lo scorso 21 gennaio.
La cosa più assurda di questa triste vicenda è che sia accaduta in una regione sotto il controllo della Lega. Non riesco a capire ancora come sia possibile che il partito che promuove il sovranismo e si autodefinisce di destra sociale non abbia reagito contro questa invasione silenziosa. Anzi, dalle dichiarazioni dello stesso Gallera si capisce che è stata promossa da lui in prima persona: “lunedì scorso (16 marzo) avevo scritto al Ministro della Sanità cubano, anzi avevo scritto venerdì scorso (20 marzo), domenica, mentre uscivo dalla doccia, è suonato il telefono ed era l’Ambasciatore cubano, che mi ha comunicato che loro erano non solo disponibili, ma onorati di venere in Italia a darci una mano. Io ho telefonato raggiante al Presidente, abbiamo attivato subito ciò che serviva, quindi i contatti diplomatici. Abbiamo anche qui chiesto e ottenuto dal governo un aereo per poter recuperare velocemente queste persone, nell’arco di una settimana…”, ha confessato orgogliosamente durante la conferenza stampa del 24 marzo.
Il risultato? Oggi all’ospedale di Crema cercano volontari che parlino spagnolo, disposti ad assistere i medici cubani nelle traduzioni, e una spesa ancora sconosciuta che di certo è stata pagata per portare i cosiddetti medici cubani in Italia. Chi ha avallato la professionalità di questi medici? È conveniente esporre anche i traduttori al virus quando ci sono più di 200 professionisti della salute italo-venezuelani residenti in Italia, che parlano italiano, la maggioranza di cittadinanza italiana, che sono pronti a lavorare nell’emergenza?
“La gestione della disponibilità dei medici italo-venenzuelani da parte di Gallera e Fontana purtroppo è solo una dei tanti episodi che abbiamo di impreparazione della Regione Lombardia nella gestione dell'emergenza. Anche nel caso dei medici italo-venenzuelani, Gallera ha scelto di puntare sugli annunci in TV e sulla rivendicazione contro il Governo, per poi non fare nulla in termini di fatti. È davvero un peccato. Speriamo che la norma approvata nel decreto Cura Italia possa permettere al più presto alle Regioni italiane di avvalersi dell'aiuto dei medici e infermieri italo-venezuelani”, ha dichiarato per la Nuova BQ l’Onorevole Lia Quartapelle (PD), capogruppo dem alla Commissione Esteri della Camera. Anche lei si è battuta per l’approvazione della norma che oggi permette di lavorare ai medici italo-venezuelani, ma che fino ad oggi ancora attendono una chiamata, nonostante tutti gli scambi che abbiamo fatto con la Regione Lombardia. Non possono dire che la mancanza di risorse li abbia costretti ad accettare l’invasione comunista.
(https://lanuovabq.it/it/costosi-e-impreparati-chi-vuole-da-noi-i-medici-cubani?fbclid=IwAR1Q28FSt16FV2CzzQ2xzsam6Ay5MXDpUa1Z4lb62Mi197E6MFJhW-F2Kp0)
El Estado Argentino, obsesionado por la legalización del aborto.
04/17/2020
Si buscamos “obsesión” en la RAE encontramos que el término significa, en su segunda
acepción, "idea fija o recurrente que condiciona una determinada actitud".
Y si contrastamos tal significado con la realidad que hoy nos toca vivir, parece existir
una total correspondencia: en la Argentina los gobernantes tienen la idea fija y
recurrente de imponer la eliminación sistemática de vidas humanas, es decir, quieren
que haya abortos.
La determinante actitud de habilitar dicha práctica queda manifiesta cuando Juan Carlos
Escobar, del Ministerio del Salud de la Nación, expresó el pasado 13 de abril que hay
"salvedades" en las restricciones impuestas al sistema sanitario, considerándose la ILE
(eufemismo que busca esconder la realidad del aborto, esto es, la aniquilación de una
vida humana por nacer) como un servicio esencial que no puede ser afectado por la
cuarentena impuesta a nivel nacional.
Vemos de este modo la intención de garantizar el acceso a dicha "prestación”, a toda
costa.
Entonces, para las autoridades nacionales los ciudadanos pueden y deben renunciar a
sus libertades más esenciales como ser a transitar y circular libremente o ejercer la
industria y el comercio, pero no pueden ceder el acceso al aborto.
Lo grave del asunto es que, en una absoluta tergiversación de la realidad y a pesar de
ser inconstitucional, las autoridades nacionales plantean que el acceso al aborto es una
cuestión esencial.
Dejémoslo en claro, el derecho a la vida encuentra su fundamento en la ley natural y así
lo reconoció nuestra Corte Suprema d e Justicia de la Nacion, expresando en el fallo
“Sánchez Elvira” que el derecho a la vida es el primer derecho natural de la persona
humana, preexistente a toda legislación positiva, y que resulta garantizado por la
Constitución Nacional, derecho presente desde el momento de la concepción,
reafirmado con la incorporación de tratados internacionales con jerarquía constitucional".
Asimismo, el derecho positivo viene a completar lo que no queda establecido
explícitamente por derecho natural. Tratándose del valor vida, nuestro Estado
reconoció tal derecho y lo revistió de plena protección.
Así ello, no importa que el aborto sea contrario a la Constitución Nacional, a los
Tratados Internacionales de Derechos Humanos, al Código Penal de la Nación ni al
Código Civil y Comercial.
Tampoco interesa que el 9 de agosto de 2018 el Congreso Nacional haya rechazado el
Proyecto que lo intentara legalizar.
No es relevante el repudio generalizado que hace de tal práctica la comunidad médica,
ni los sobrados fundamentos científicos que se expusieron en ambas Cámaras
legislativas al momento de su deliberación y tratamiento.
No pesan las innumerables marchas que se llevaron a cabo a lo largo y ancho del país,
donde millones de argentinos se expresaron pidiendo que se cuide la vida de la mujer
y del ser humano por nacer.
No, nada de eso importa.
Algunos pensamos que la obsesión mermaba cuando nuestro Presidente declaró que
debiamos hacer cuarentena obligatoria por el corona virus, expresando que: Una
economia que cae siempre se levanta. Pero una vida que termina no la levantamos mas.
Sin embargo, el gobierno confirma con sus declaraciones posteriores que sigue
determinado en su afan por imponer el aborto. Cuando Alberto habló de vida, solo
estaba discriminando entre seres humanos nacidos y por nacer. Los primeros
merecedores de toda protección, los segundos, suceptibles de ser ejecutados si así lo
desea su progenitora.
Quizás la obstinada inclinación de nuestras autoridades a imponer el aborto responda
en gran medida a las presiones que sobre ellas ejercen potencias extranjeras, lo cual
evidencia la crisis de nuestra soberanía.
Baste como ejemplo de lo mencionado, las expresiones de Mariela Belski, Directora
Ejecutiva de Amnistía Internacional, quien el 1 de marzo del corriente año,
tras el anuncio de Alberto Fernández sobre la presentación de un nuevo proyecto de
legalización del aborto, manifestó: “El Congreso ahora debe escuchar las demandas de
decenas de miles de mujeres que han luchado para tener el control de lo que hacen
sobre sus cuerpos. Es hora de que Argentina se una a la lista de países que han
legalizado la interrupción del embarazo y diga ADIÓS al aborto clandestino."
(https://www.lacumbrera.com/entrada-individual/2020/04/17/El-Estado-Argentino-obsesionado-por-la-
legalizaci%C3%B3n-del-aborto?fbclid=IwAR1Eac7NlM-QWaFuSbA37etYzZ4_xk-s5dWY38N_
KPEX0bEx5CfmduoqcHE)
martes, 21 de abril de 2020
España: gobierno reclama por cientos de miles de máscaras defectuosas de China
Spain: Government recalls hundreds of thousands of defective facemasks made in China
By MICHAEL LORD
The Spanish Ministry of Health has ordered a recall of 350,000 facemasks for being defective. The masks were manufactured by Garry Galaxy, which is on the Chinese’s governments list of approved manufacturers.
The masks are FFP2-type surgical facemasks, which medical personnel who regularly deal with patients infected with the coronavirus (COVID-19) need to reduce the possibility of getting infected themselves. According to European standards, FFP2 masks must protect against more than 94% of particles; the Garry Galaxy masks were found to allow between 18 and 29% of particles through, according to a report by El Mundo. Most such masks test at only 1 or 2%.
The Ministry of Health indicated that the masks had been seized before they were used and that a fresh batch of masks that meets European standards was expected from the same company. Health officials in several Spanish regions have indicated that the defective masks had already been used by some hospital staff, however. CSIF, the union for public employees, has threatened to sue the Ministry of Health in the country’s Supreme Court for this and other failures it has demonstrated in response to the pandemic. This will also force those facilities which received the defective masks to conduct even more coronavirus tests on their own personnel.
Last month, Spain had also returned over 50,000 defective coronavirus testing kits that were also produced in China, as their effectiveness was only 30%, whereas the standard European success rate is 80%.
Spain currently has the most cases of coronavirus infection in Europe, and the second-highest death rate from the disease.
(https://voiceofeurope.com/2020/04/spain-government-recalls-hundreds-of-thousands-of-defective-facemasks-made-in-china/?fbclid=IwAR0ZWGZBmKW9Jt06_Gpb0-eLs1kd_-CdpawXMMvxc7KFmmiGVgJMF805Vn0)