Hay cosas que realmente no se entienden, como por ejemplo, el elogio post-mortem a un notorio heresiarca Hans Küng, quien además de sus posiciones heréticas contrarias a los dogmas de la Iglesia Católica, era notoriamente favorable al aborto, a la anticoncepción y a la eutanasia. ¿Cómo puede la Pontificia Academia para la vida afirmar que era un "gran teólogo", si era un reconocido heresiarca, además de un ferviente opositor a aquello que la Academia para la Vida defiende -al menos en teoría-, como es la vida humana? Lo volvemos a repetir: hay cosas que no se entienden. O, mejor dicho, sí se entienden, porque se explican por sí mismas.
Parlare sempre bene dei morti non è facile. Quando non ci si riesce si può optare per un
laconico comunicato di addio glissando, diciamo così, sulle ombre del suo pensiero.
Insomma, di modi per uscirne a testa alta ce ne sarebbero, ma la Pontificia Accademia per la
Vita deve aver deciso di rischiare il ridicolo quando ha pensato che il modo migliore per
salutare il teologo Hans Kung fosse quello di definirlo un grande teologo. E non solo, ma
per giunta un teologo le cui idee devono far riflettere la Chiesa.
Nientemeno. Nel tweet di saluto alla notizia della scomparsa del pensatore fu cattolico la
PAV ha detto che «scompare davvero una grande figura nella teologia dell’ultimo secolo,
le cui idee e analisi devono fare sempre riflettere la Chiesa, le Chiese, la società, la cultura». Non proprio quello che si dice un commiato freddo. Se la Chiesa deve riflettere su Kung e quindi anche la Pontificia Accademia per la Vita, perché
allora non cominciare dalle sue dichiarazioni di rottura sull’eutanasia?
Scompare davvero una grande figura nella teologia del’ultimo secolo, le cui idee e analisi
devono fare sempre riflettere la Chiesa, le Chiese, la società, la cultura.
— Pontifical Academy Life (@PontAcadLife) April 6, 2021
Sul tema, l’ex professore di Tubinga non si può certo dire che avesse posizioni aderenti
a quello che è il Magistero della Chiesa sul tema vita e che l’accademia presieduta da
monsignor Vincenzo Paglia dovrebbe guidare. Ma la PAV, si sa, sul tema vita e affini in
questi anni ci ha abituato a capovolgimenti non indifferenti, come per le parole ambigue
sull’aborto in day hospital oppure per i tentennamenti sui casi di Alfie Evans e Vincent
Lambert. E sull’eutanasia si scivola ancora, dato che Kung aveva dedicato al tema molto
del suo tempo, ovviamente parlandone a favore. Nel suo saggio del 2014 “Morire felici”
Kung affermava appunto il diritto all’autodeterminazione eutanasica riuscendo a scrivere
pagine sulla sacralità della vita e contemporaneamente a ribadire di voler «scegliere con la
mia responsabilità quando e come morire» e a dire che la dolce morte aveva anche un
fondamento cristiano. E per giunta, all’epoca si scoprì anche che il “teologo” svizzero era
iscritto all’associazione Exit, che porta avanti la battaglia dell’eutanasia libera per tutti.
Nel ‘94, aveva detto cose simili parlando del morire con dignità. Insomma, Kung dopo
aver picconato sul “rigorismo impietoso” del Magistero e bacchettato l’estremismo fanatico
della Chiesa su contraccezione, inseminazione artificiale, aborto e diagnosi pre-natale, nella
parte finale della sua vita, non poteva non occuparsi anche di eutanasia, come farebbe un
vecchio guru qualunque del radicalismo pannelliano, tutta gente che, come Kung, è poi
morta nel proprio letto perché un conto è la teoria e un altro la prassi. Comunque, con dichiarazioni di questo tipo, ascoltate, anzi molto ascoltate anche in alcuni importanti ambienti del mondo cattolico, non si poteva certo dire che Kung non fosse
una di quelle che il codice della strada chiama “curve segnalate”.
Eppure, monsignor Paglia ha pensato bene di concedere a Kung l’onore di essere
definito, da un’istituzione vaticana che dovrebbe più di tutti combattere la cultura dello
scarto, come un grande teologo e per giunta uno le cui idee dovrebbero far riflettere la
Chiesa. E con la Chiesa anche «le chiese» e «la cultura», come se tutte ormai fossero unite
da un pensiero unico. Riflessi pavloviani, ormai, di un cascame post conciliare che si è
incrostato nell’ideologia del relativismo. Questa sì che è cultura dello scarto, nel senso che
va proprio scartata e gettata nel cestino. Un requiem aeternam per accompagnare Kung non
bastava?
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